Ardengo Soffici (Rignano sull'Arno, 7 aprile 1879 – Vittoria Apuana, 19 agosto 1964) è stato un pittore, scrittore, poeta e saggista italiano.
Trascorse l’infanzia a Bombone e, da sempre appassionato di arte e letteratura, si divertiva a dipingere e a scrivere versi e poesie. Nel 1893, si trasferì con la famiglia a Firenze. La morte del padre, avvenuta poco dopo, lo costrinse ad impiegarsi presso un avvocato come “giovane di studio”.
Furono anni difficili per l’artista anche se non abbandonò mai la sua naturale vocazione.
Due anni più tardi si iscrisse all’Accademia di Belle Arti fiorentina e poi alla Scuola del Nudo dove erano maestri Giovanni Fattori e Telemaco Signorini.
In quello stesso periodo partecipò alla creazione di un giornale letterario “La Fiamma” di cui uscirono solamente tre numeri. La lettura di Flaubert, Baudelaire e Verlaine fecero nascere in lui il desiderio di visitare la Francia e infatti nel novembre del 1900 si recò a Parigi con Costetti e Brunelleschi, rimanendovi per sette anni. Si mantenne vendendo ai giornali francesi disegni umoristici e nel frattempo visitava il Louvre e gli altri musei francesi per arricchire le proprie conoscenze.
Qui entrò in contatto con Picasso, Apollinaire e i poeti Simbolisti. Rientrato da Parigi nel 1903 conobbe Giovanni Papini, direttore della rivista Leonardo e con lui e Prezzolini fondò “La Voce”, rivista di rinnovamento culturale e civile.
Risalgono a questo periodo “Ignoto toscano”, “Arlecchino”, “L’Impressionismo”, “Chimismi lirici” e altri libri d’arte e di critica.
Nel 1913 promosse a Firenze la prima mostra futurista presentando un discreto numero di opere.
Impegnato poi nel primo conflitto mondiale, lasciò una testimonianza in Kobilec-Giornale di Guerra nel 1918 e Ritirata nel Friuli nel1919, che sono considerati dalla critica i libri di guerra più suggestivi.
Sono anche note le sue collaborazioni con il Corriere della Sera e Il Popolo d’Italia, una volta terminato il conflitto mondiale. Nel 1920 fondò “Rete Mediterranea” attraverso il quale diffuse la propria idea di pittura. Partecipò alla Biennale di Venezia e nel 1923-24 e lavorò a Roma nella redazione del quotidiano “Nuovo paese”, organo del partito di Mussolini.
Fermamente convinto degli ideali fascisti firmò nel 1925 il Manifesto degli intellettuali fascisti.
Aderì al movimento di Novecento esponendo alla I e alla II Mostra a Milano ed a quella del ‘30 a Buenos Aires. Negli anni ‘30 alternò l’attività di scrittore con quella di pittore partecipando a numerose rassegne, tra le quali le Biennali veneziane, dove espose nel 1934 e nel ‘36.
Qualche anno dopo comparì nel manifesto, firmato da molti intellettuali, che appoggiava le leggi razziali appena emanate. Risale al 1943 la rivista pubblicata insieme a Barna Occhini dove manifestò il carattere sociale del fascismo e la fedeltà ai tedeschi.
Dopo la guerra fu internato per collaborazionismo vicino a Terni insieme a Occhini, ma poi tornato a Poggio nel 1946 riprese a scrivere e dipingere.
Vinse il Premio Marzotto nel 1955 per la pubblicazione dell’opera Autoritratto di artista italiano del suo tempo.